Contenuto della Pagina
Willendorf's overbooking
Castel dell'Ovo, dal 18 marzo al 5 aprile 2015
Il Salone delle Carceri, il magico ventre tufaceo di Castel dell'Ovo, è lo spazio nel quale sarà ospitata dal 18 marzo al 5 aprile l'installazione "Willendorf's overbooking". Propongono il lavoro gli scultori Pietro Marino e Rachele Branca con la collaborazione di Michele Prudente. L'opera dichiara apertamente nel titolo l'oggetto di una ricerca in dialogo con il mondo dell'arte antica. La Venere di Willendforf, infatti, il capolavoro delle cosiddette Veneri del Paleolitico è il motore di un'installazione di sicuro interesse visivo ed emotivo. La Willendorf, con maggiore precisione diremo il complesso dei simboli che la Willendorf riunisce, ha ispirato una ricerca di mesi conclusa con la realizzazione di otto statue-steli. Quelle, realizzate in legno, argilla e plexiglass, di grandezza superiore il naturale, riproducono la celeberrima statuina viennese alterandone le dimensioni e parzialmente la forma originale. L'obbiettivo degli autori mira a suggerire prospettive nuove di lettura concentrando l'attenzione degli spettatori su di un testo plastico capitale dell'arte preistorica. Tutti i germi della civiltà, la stessa identità umana nascono in quella fase della storia giustificando un costante interesse dell'arte e dell'antropologia.
La maternità, le immagini della vita che nasce sono i temi affrontati da sempre sia dall'arte sacra che da quella profana, generatori attivi di complesse ed innumerevoli iconografie. L'installazione avvicina lo spettatore ad un ambito arcano della specie al fine di ridisegnare una di quelle iconografie. "Willendorf's overbooking" incrociando mito e forma primitiva con un presente storico problematico mette sotto tensione questioni attualissime e drammatiche. Il controllo demografico, libero o imposto dalle condizioni sociali, è, infatti, una fondamentale prova per tutte le civiltà contemporanee. Rinunciando a prospettare una tesi unica, con espressione non prevedibile,si offre un lavoro che utilizza l'analisi del profondo per richiamare alla coscienza scelte umane drammatiche. Le otto statue-steli esposte in una luce volutamente incerta ed evocativa torreggiano ieratiche, solitarie, interrogative. Rigettando ogni proposizione limitante ed univoca l'installazione costruisce, a mezzo di rifrazioni e rimandi, una sperimentazione formale e tematica di grande intensità e coinvolgimento.