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gli intonaci dipinti

frammenti di decorazioni colorati
Bottega di Giotto, frammenti di decorazione a fresco, già nella Cappella Palatina di Castel Nuovo

Oltre ai reperti d'età classica, alle sepolture altomedievali ed ai materiali ceramici e metallici d'età angioina e aragonese, lo scavo degli ambienti 1, 2 e 3 del Castel Nuovo ha portato alla luce numerosi frammenti d'intonaco dipinto. Non tutti questi frammenti appaiono dello stesso tipo e della stessa epoca; alcuni - come sono - in apparenza parte di una semplice passata omogenea di pittura chiara, o scura, ed altri d'una grossolana decorazione geometrica in giallo e rosso ruggine su fondo bianco.
 
Una gran parte, tuttavia, mostra le caratteristiche comuni d'un buon "arriccio", o intonaco grosso, d'un disegno preparatorio soprastante in terra rossa, o "sinopia", d'uno strato sottile e raffinato di "intonachino" diviso in "giornate" - esattamente così come narrato da Cennino Cennini per la tecnica dell'affresco trecentesco - ed infine d'una vasta gamma di colori anche preziosi - gialli, bruni, rossi, ma anche verdi, azzurri e blu di lapislazzulo -, di incarnati, di volti, di teste, di aureole e di panneggi, con grande e diffuso impiego di dorature e tracce di motivi decorativi e architettonici; ad indizio di una provenienza comune da un vasto ciclo figurato eseguito da un'unica maestranza.

Non solo gli aspetti tecnici, ma anche ciò che s'intravede - dai frammenti di volti e di panni - dei caratteri formali di questi affreschi, lasciano intendere che questo "vasto ciclo" non possa essere altro che una parte della perduta decorazione del castello angioino voluta da re Roberto e realizzata - fra il 1329 e il 1333 - da Giotto e dalla sua bottega.

Sappiamo dalle fonti - a partire da Petrarca - e dai documenti del tempo che, fra il febbraio del 1329 e il maggio del 1331, Giotto aveva affrescato una "cappella segreta" della quale nulla più si conosce, ed ancora, e soprattutto, con soggetti biblici ed evangelici - "dentro la Cappella del Castel Nuovo era pintato per tutte le mura, per mano di Jocto, lo Testamento Vecchio e Nuovo, di buon lavoro" a detta dell'umanista Summonte (1524) - la celebre e ancor esistente Cappella Palatina; e forse più tardi, fra il 1331 e il 1333, l'intera Gran Sala del castello con un ciclo dei Nove uomini famosi dell'antichità e delle loro compagne, descritto attorno al 1350 da una corona di sonetti e poi dal Ghiberti e da altri scrittori ancora (Leone de Castris 1986, capp. V.1, 3).

L'una e l'altra impresa ebbero purtroppo vita assai breve. Quest'ultimo ciclo della Gran Sala di certo distrutto negli anni cinquanta del Quattrocento in occasione della totale rifazione, in diverse e maggiori dimensioni, e in diverse forme, della sala stessa, d'ora in poi coperta dalla grande volta a ombrello gotico-catalana progettata dal Sagrera, e di qui a poco battezzata come "Sala dei Baroni".

L'altro grande ciclo, quello della Cappella Palatina, molto probabilmente danneggiato in modo sensibile dal tragico terremoto del 1456 - come dimostrano le vaste lesioni un tempo visibili sulle pareti e i rinforzi e i tompagni quattrocenteschi - e verosimilmente almeno in parte sostituito dalla decorazione commissionata e pagata nel 1470-71 da Ferrante d'Aragona a un tal Marchitello Gallo (Filangieri 1934; 1936-40; Leone de Castris in Castel Nuovo 1990).

 
frammenti di decorazioni colorati
Bottega di Giotto, frammenti di decorazione a fresco, già nella Cappella Palatina di Castel Nuovo

A considerazioni e a date analoghe spinge il passo del Summonte successivo a quella appena citato - "poi, ad tempo del re Ferrando vecchio, un suo consigliero poco bon iodice di cose simili, extimandole poco, fe' dar nuova tunica ad tutte quelle mura" -; e tuttavia proprio di questi affreschi con Storie testamentarie si conservano fortunosamente ancor oggi - recuperate durante i restauri del 1926-34 sotto lo scialbo ed i tompagni - almeno le fasce che ornavano gli sguanci dei finestroni, con decori geometrici e vegetali, stemmi e clipei con teste di santi e di altri personaggi, che la critica ha voluto attribuire a Giotto stesso e alla sua bottega, composta di "aiuti" toscani e napoletani e capitanata dal grande Maso di Banco.

I frammenti or ora ritrovati appartengono probabilmente proprio a questa stessa decorazione, e provengono dunque dalle pareti "scalpellate" della Cappella Palatina. Lo dimostrano non solo le analogie strettissime delle parti sopravvissute d'incarnati con i volti dei più noti clipei del finestrone di sinistra e del secondo di destra della nave e di quello di destra del coro, ma anche le dimensioni stesse ed i soggetti di queste figure frammentarie, deducibili dalle aureole - storie "sacre" dunque - e dallo sviluppo dei panneggi e dei volti stessi; incompatibili perciò, in apparenza, col formato monumentale e il tema classico-cavalleresco degli Uomini illustri della Gran Sala.

Alla stessa decorazione, e probabilmente a una membratura di finestrone, appartiene d'altronde anche il vasto e sciupato frammento di ornato vegetale che si vede affrescato su un blocco di piperno riutilizzato nella muratura tufacea dell'ambiente, e portato alla luce anch'esso dallo scavo, ridotto quasi allo stato del disegno preparatorio ma molto simile a quelli dei finestroni laterali della cappella, a girali affrontati e accartocciati.

Altri due blocchi analoghi sono stati, nella stessa occasione, rinvenuti nell'impiantito dello stesso ambiente 1 e nella muratura esterna dell'ambiente 3; ma la tecnica diversa e la qualità decisamente meno fine suggeriscono in questo caso una provenienza da altre parti del castello e da decorazioni di data forse più avanzata.

 
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