La storia e le cronache ci insegnano come sia frequente, in occasione di un rivolgimento politico, la rimozione dei simboli appartenuti al governo appena scalzato.
Ciò non mancò di verificarsi anche alla caduta del regno delle Due Sicilie; addirittura, come narrato da un cronista dell'epoca, la rimozione fu prudentemente anticipata: "La mattina del cinque settembre [1860] (...) il Re uscì dalla reggia in un legnetto scoperto insieme con la Regina e due gentiluomini. (...)
Alla strada di Chiaia, proprio sul principio, dovettero fermarsi, per un ingombro di vetture e carri. In una delle prime botteghe, sotto la Foresteria, oggi prefettura, stava allora la farmacia reale Ignone, la quale aveva, sull'insegna, i gigli borbonici. Una scala, poggiata all'insegna, impediva il transito delle vetture. il Re si fermò e vide che alcuni operai, saliti sulla scala, staccavano dalla tabella i gigli".
Il giorno dopo Francesco II, ultimo sovrano della dinastia dei Borbone-Due Sicilie, lasciò per sempre Napoli e il 7 settembre Garibaldi fece il suo trionfale ingresso in città.
Il cosiddetto giglio di Francia, simbolo dei re capetingi, aveva un posto di preminenza nello stemma della dinastia Borbone - Due Sicilie: in numero di tre e posti sul campo azzurro dello scudo centrale, rappresentavano la discendenza diretta dei Borbone dalla Casa francese alla quale appartennero i re san Luigi IX e Carlo Magno.
Sormontati dalla corona reale, i gigli venivano usati come rappresentazione sintetica dello stemma dinastico.
Abbiamo detto della sorte toccata ai gigli della farmacia reale ma stesso destino ebbero uguali emblemi sistemati all'esterno e all'interno di palazzo San Giacomo, l'edificio che aveva ospitato i Ministeri del regno borbonico.
Nell'antico cancello messo a chiusura del vano portone che è sulla sinistra della facciata dell'edificio, è ancora possibile notare gli spazi prima occupati dal giglio borbonico.
Infatti le decorazioni metalliche circolari che rappresentano serti di foglie di alloro e di quercia oggi circoscrivono solo le strutture in ferro sulle quali erano fissati gli emblemi reali (vedi animazione). Ma sulla facciata non è questa l'unica traccia della rimozione.
Al disopra del portone principale di accesso al palazzo, ai lati dello spazio che oggi contiene la targa con la scritta "MUNICIPIO", vi erano i sei (tre per lato) serti di foglie di quercia e di alloro che vediamo ancora oggi ma, fino al 1860, ognuno incorniciava un giglio (come si può rilevare dall'immagine a lato che pone a confronto il particolare di una fotografia del 1858-59 con un altro del prospetto attuale).
Queste le rimozioni dei gigli dalla facciata ma anche all'interno essi non furono risparmiati. Le ringhiere della scalinata principale, all'altezza del primo pianerottolo e di quello di arrivo al terzo piano, appaiono prive dei gigli presenti, invece, prima del 1860 (come documentato da una stampa d'epoca).
La caccia al giglio dei Borbone proseguì anche in altri luoghi della città: ecco le immagini di altre ringhiere "trasformate". Sono quelle sistemate intorno alle statue equestri nel largo che, dopo il 1860, prese il nome di piazza del Plebiscito (la prima è il particolare di una fotografia databile tra il 1858 e il 1859, la seconda il dettaglio di un'altra ripresa qualche tempo dopo). Oggi all'interno di quei serti c'è lo stemma del Comune di Napoli.
Bernardo Leonardi