“Non che sia semplice, fotografare pezzi di questa città.
Fate mente locale. Non c’è scorcio, panorama, angolo che non sia stato ampiamente visto, ritratto da ogni angolazione e in qualsiasi condizione di luce. Probabilmente questa è la città più fotografata del mondo.
Il motivo sta nella policromia, forse. Tutti i colori dell’universo, ogni sfumatura viene proposta dalle singole stagioni, dal tempo atmosferico mutevole, dalle condizioni poste dalla bellezza. E anche le numerose infamie, i dolori, l’espressività dei linguaggi offrono la ricchezza di una polifonia senza uguali.
C’è il mare, certo; e c’è la montagna incombente, l’azzurro del cielo e delle magliette dei bambini, il giallo del tufo, e il rosso dei tramonti; senza contare la gente, le merci, i mille mercati di un posto stretto e convesso, sedimentario e pieno di tradizioni che peraltro si frantumano in centinaia di pezzi cambiando e rinnovandosi costantemente.
Per questi motivi l’originalità dell’occhio è un valore inestimabile. Trovare qualcuno che sappia proporre un modo nuovo, mai visto prima, di inquadrare e scattare pezzi della città è rarissimo, e va evidenziato e sostenuto con forza; tanto più se l’autore riesce a sfuggire dal lavorare a tesi per dimostrare il paradiso o l’inferno, come purtroppo fanno in tanti.
In questa straordinaria mostra, Renato Attanasio propone le sue Vertebre di lava: e mai titolo fu più preciso e attinente, perché se la città ha una spina dorsale, se esiste uno scheletro che sostiene questo immenso disordinato organismo che cresce senza sosta, quelli sono proprio le scale.
Mille pedamentine, semicancellate dall’abitudine a spostarsi sempre e solo a motore, gradini sconnessi che vanno da monte a valle e viceversa, che raccontano la storia faticosa e affannata di generazioni, fatte per i carri e i cavalli e per piedi gentili, che si inerpicano fiancheggiate da bassi e finestre che vanno perdendo luce in nome di una comodità sintetica e senz’anima.
Le vertebre che Attanasio si è andato a scovare raccontano incessantemente la nostra storia. E spiegano, senza dire una parola, che la città ha una sola identità frammentaria ma riconoscibile, perché le sue scale di notte cominciano a sussurrare in una lingua antica e perfettamente comprensibile in ogni parola.
Ne ho volute cinque, sulla parete principale della mia casa. Per sognare, per sorridere, per evocare i ricordi dei miei avi. Per immaginare il rumore di tutti quei piedi pieni di speranza e disperazione, su e giù, secolo dopo secolo.
Portarsi a casa un pezzo di storia, visto con un occhio accorato e partecipe. O anche il semplice caleidoscopio di scorci che sono pezzi inestinguibili della mia città moribonda e immortale".
Maurizio de Giovanni, ottobre 2020
La mostra è composta da 30 immagini a colori, parte di una ricerca molto più vasta, realizzate con le attuali tecniche digitali e stampate nel formato 50 cm x 70 cm che danno a vedere parte del vasto patrimonio di queste opere semplici, vertebre di un organismo complesso fatte per durare nel tempo e per collegare agevolmente parti di una città arroccate su promontori e colline.
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