AES+F, Boisseau/Westermeyer, Kathryn Cornelius, Fabio Cuttica, Anton Corbijn, Charlotte Ginsborg, Marco Giovani, Ilya Kabakov, Peter Kees, Sigalit Landau, Yitzhak Livneh, Yerbossyn Meldibekov, Emily Prince, Trine Lise Nedreaas, Tom Sanford, Nedko Solakov, Pierrick Sorin, Adrian Tranquilli, Sislej Xhafa, Hu Yang a cura di Julia Draganovic.
Eroi. Parlarne oggi può sembrare fuori luogo, ingenuo, al massimo romantico. Ma siamo davvero passati oltre, é giá finita l'era degli eroi?
Il contesto classico in cui l'eroe si muoveva, era la guerra: scontri fra uomini che si guardavano in faccia, che si uccidevano a vicenda, ma che sapevano ancora con chi
avevano a che fare.
Che le guerre di oggigiorno non siano piú un terreno per trasformarsi in eroi, lo aveva giá intuito lo scrittore tedesco Ernst Juenger nel definire le due guerre mondiali Materialschlachten - battaglie di materiale - ad intendere quanto poco valga la vita di un singolo essere umano in un' epoca in cui si utilizzano delle anonime tecniche di
sterminio. Le guerre dell'inizio di questo millennio, senza fronti, né nemici o alleati, senza differenza fra combattenti e civili, guerre nelle quali un grattacielo o un treno pendolare possono trasformarsi in un campo di battaglia, ci fanno rivalutare le parole di Bertolt Brecht: "Felice il paese che non ha bisogno di eroi"! Non è solo per questo che la sociologia moderna definisce la nostra epoca come "post eroica". In un momento storico nel quale l'individuo conta poco, cresce il bisogno di sviluppare strategie di gruppo. Il "noi" diventa sempre piú importante e anche nelle grandi aziende si lavora ormai in gruppo: é finito il tempo delle rigide piramidi gerarchiche, con in cima uno pseudo-eroe, il grande direttore che decide, istruisce, benedice o punisce. Nonostante ció, la stessa sociologia ci insegna che l'essere umano ha bisogno di modelli da seguire. Cosí i protoganisti del cinema, della televisione o dello sport sostituiscono gli eroi di una volta. Per chi non si accontenta dei "famosi", in delirio post coloniale, si creano dei protagonisti che sembrano degli ibridi di culture lontanissime -nel tempo e nello spazio-, ibridi legati al mito, alle diverse religioni o addirittura alla fantascienza, a figure, dunque, che nascono dall'immaginario collettivo senza essere collocati in un periodo o un contesto geografico specifico.
Il prodotto di questa fantasia frenetica si caratterizza di figure che rispecchiano i nostri sogni ma che peró non sono capaci di saldare la nostra fiducia in un eroismo reale.
Infine, per essere un eroe non basta solo realizzare l'impossibile, ma bisogna essere riconosciuto come tale. Siamo, quindi, in fondo tutti noi, il pubblico a creare gli eroi,
e basta cambiare prospettiva per riconoscerli al di fuori del mondo dei combattimenti ed accorgersi così degli sforzi sovraumani che ci vogliono per affrontare la vita quotidiana.
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del 17 maggio 2001- Redazione in Napoli
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