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"La poesia delle cose", mostra di Filippo Romito
Dal 19 novembre al 5 dicembre 2021 al PAN | Palazzo Arti Napoli
A cura di Rosario Pinto e Giovanni Cardone.
In collaborazione con l’ Assessorato
alla Cultura del Comune di Napoli.
Come scrive Rosario Pinto, se dovessimo provare a dire un giudizio non propriamente ed esclusivamente
‘artistico’ della sua ricerca creativa, vorremmo poter dire che Filippo Romito
è un poeta-pittorico dell’umanità, un’umanità che non viene osservata con lo
spirito indagatore della analisi antropologica (come avrebbe potuto saper fare,
ad esempio, la pratica ‘verista’ ottocentesca di matrice ‘positivista’) ma con
una sensibilità partecipativa, piuttosto, quella appunto che nasce dalla
rilevanza esperienziale di cui la pittura può farsi portatrice quando non
decide di proporsi come mera esibizione di tecnicismi o, peggio, di derive
indebitamente semplificatrici, come, purtroppo ha inteso affermare tutta la
stagione della cosiddetta ‘deriva postmoderna’. Sfugge, peraltro, la pittura di
Romito alla riconducibilità del suo portato ad una limitante appartenenza
‘stilistica’, e, di più, si rende senz’altro indisponibile a poter essere
costipata entro la perimetrazione asfissiante di una profilatura ‘di scuola’.
Lo scarto logico tra ‘raffigurazione’ e ‘rappresentazione’ richiederebbe
l’invocazione di una valutazione opportuna della caratura eidetica che assumono
le immagini create da Romito; e noi ci studiamo di porre l’accento su tale dato
di non mero dettaglio, individuando in questa opportunità di ermeneutica
eidetica della sua ricerca, il tentativo del Nostro di scendere in un affondo
descrittivo particolarmente intenso,
procedendo a rendere, pertanto, la sua pittura una vera e propria pagina
di testimonianza storica ed umana, di cui emerge, tutt’altro che
insignificante, una convincente calettatura ‘concettuale’. In tal modo,
insomma, la figura umana, per Filippo Romito, ci restituisce non soltanto le
fattezze fisiche del soggetto, ma anche la sua profilatura morale, procedendo,
in aggiunta, a rendere quel personaggio, quella figura, dei testimoni viventi
di un’epoca, le tracce vigorose che si stampano nella memoria e nel tempo. E
qui Romito, potremmo anche dire, recupera alle ragioni dell’arte contemporanea
tutto il vigore espressivo della migliore e più autentica pittura pompeiana:
egli, artista vesuviano a pieno titolo, che va a rendere la consistenza massiva
delle cose come vibratile opportunità di specchiamento della vita, riuscendo
quasi a ‘fermare il tempo’, senza che, però, per questo, egli debba procedere a
creare una sorta di statue di cera. Tutt’altro, infatti, sono le sue figure ed
i soggetti che egli ritrae e cui dà vita e spessore storico, dimostrando come
lo scorrere del tempo abbia potuto ulteriormente affinare la sua pratica già
eccellente della delibazione figurativa andandola a corredare, in estensione,
di una carica di vibratile umanità sempre più convincente e profonda. Mentre
Giovanni Cardone dice : L’artista Filippo Romito, pertanto, dà per certo che il
complesso dei sentimenti relativo alle tradizioni, alle idee, alla cultura
degli uomini, si ripercuote fortemente sul gusto figurativo e lui ne è un
interprete di grande valore. La sua peculiare interpretazione pittorica va ben
oltre la rappresentazione del vero e il soggetto diventa perciò un pretesto per
un ricco gioco cromatico e disegnativo. La modulazione del segno e del colore
poi è una prerogativa estremamente personale che ne decreta la sua inconfondibile
sigla stilistica. Nelle sue ultime
opere penso che ognuno di noi può rivedersi e nel contempo può rivedere
l’altro, attraverso un vero percorso di rinascita per l’uomo e per la pittura
che grazie a Romito ci fa comprendere la sua vera essenza.